« Occorre un
alito di simpatia per la comprensione. Feci dietro-front e tornai all'ufficio
del signor Headley, e tutto quel caos polveroso ebbe un amichevole e familiare
aspetto inglese.
Da dietro la sua scrivania il
signor Headley mi chiamò come fossi un visitatore abituale.
- Avanti, avanti, - disse. -
Non sembra molto accaldato. - Fa caldissimo, fuori, - dissi io.
- Mi scusi, disse. - Io sono
uno di quegli stupidi che dicono sempre la parola sbagliata.
Vidi che teneva in mano una
siringa, e che spingeva l'ago attraverso il coperchio di gomma d'una boccetta.
- E' una cosa meravigliosa,
l'insulina, - disse - Sono ventidue anni che mi tiene in vita. Quanti anni mi dà?
- E' difficile dirlo, - dissi
-, Cinquanta o cinquantacinque, forse.
- Sessanta. E sempre stato
bene, mai niente. E tutto per merito dell'insulina.
- Splendido, - dissi. - Guardi
qui.
Si sbottonò la camicia e
strinse tra le dita un po' di carne. Era un ometto piccolo e nervoso, e
pelosissimo.
- Guardi - disse, e si alzò
una gamba dei calzoncini kaki, - Guardai la sua coscia.
- Neanche un segno! - disse. -
E mi punzecchio due volte al giorno da ventidue anni. Ogni giorno in un posto
diverso, questo è il segreto. Lo sa quanto mi ci vuole per fare il giro del mio
corpo?
- Non ne ho la minima idea. -
Otto mesi. Guardi.
Affondò l'ago nella carne
della gamba e cominciò a iniettare il liquido. - Non la vedrà nemmeno, la
puntura. Non ho usato questo posto dal febbraio scorso, e non lo userò più
fino al giugno venturo. E adesso, - disse, sempre continuando a schiacciare, -
si sieda e mi dica che è.
- Mi chiamo Michael Quinn -
dissi.
- Quinn? - ripeté lui. - Non
ho mai conosciuto nessuno con questo nome. Che cosa è? Non m'intendo di
uniformi.
- Aviazione, - dissi.
- Bene, - disse, - Resti a
colazione, se si accontenta di quello che c'è. Tra dieci minuti ci mettiamo a
tavola. Devo stare all'orario, capisce? perché sono diabetico. Come mai è
venuto a trovarmi?»
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